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Alia Musica e il Calendimaggio
di Enrico Sciamanna
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Era l’inizio degli anni ottanta del secolo scorso, del millennio scorso. Quando all’improvviso giunsero dalla valle padana, inaspettati menestrelli troubadours, trouvers, maestri nel trobar leus e clu. Ci sbalordirono con la loro sapienza che fuorusciva da un manto di modestia. Erano i musicisti di Alia musica. Tutt’altra musica. Avevano inciso un disco che furoreggiò tra di noi: Cantigas de Santa Maria, cantavano accompagnati da strumenti dal nome esotico e dalle forme antiche.
La cosa che maggiormente ci colpì fu che loro erano ammirati da quello che noi facevamo. Cioè ci consideravano migliori, pensavano che la nostra festa fosse una sorta di prodigio, ma non si rendevano conto, gli ingenui, che quello che loro ci stavano offrendo, rappresentava un’integrazione che faceva sconfinare l’impianto di base al di là dei confini in cui fino ad allora si era mosso.
Ora sembra che se non ci fossero stati i milanesi il calendimaggio non avrebbe avuto senso. No, no, per carità! E non vorrei nemmeno che si pensasse che i musicisti locali non fossero di valore. Nemmeno per sogno. Ma la realtà era che Fabio, Silvio, Piergiorgio “il Magister” (riposi in pace ovunque sia), François, Marco, Francis, Riccardo, Sigrid, Alec ci proposero una nuova lettura del Medioevo, lontana dalle modalità provinciali, scandita su accordi affatto nuovi, scaturita da scoperte ed esegesi di codici in archivi esotici. Una interpretazione basata su una filologia che partiva della musicologia e rappresentava un impianto complessivo su cui il calendimaggio poteva trasformarsi da deliziosa festa popolare con suggestioni di alchimia storica, musicale e teatrale, in una vera e propria manifestazione in cui poesia, storia, pathos, popolo entusiasta confluivano per dare vita a un complesso in cui spontaneità, studio, inventiva, estro convergevano, creando un impareggiabile unicum, che è durato, effimero, finché non è stato sopraffatto da inaudite violenze, compresso da superfetazioni, soffocato da ridondanze con la perdita di vista di alcuni cardini base che ne hanno stravolto l’essenza. La musica invece è cresciuta, così come sono cresciuti i musicisti per qualità e quantità. Ma questo riguarda un altro tema.
Tutto qui? Diciamo che questa è stata la parte visibile. Da cui poi si sono generati altri prodotti, come spettacoli, convegni, laboratori, seminari, improntati non tanto sulla filologia, ma frutto dell’esperienza calendimaggesca che ne garantiva la leggerezza coniugata con la serietà. Ma questo connubio tra Umbria (o meglio Assisi, meglio ancora Parte de Sopra) e Lombardia fu anche l’avvio di un sodalizio umano, di affetto reciproco che non è diminuito per il tempo e lo spazio. Oggi, dal quel lontano 1980, la nostalgia di ciò che accadde e i forti legami: sentimentali, di collaborazione culturale, di amicizia tout court, ancora sono presenti. In molti di noi, quaggiù e lassù vivido è il ricordo di quel momento di vita, delle persone, delle invenzioni, della bellezza e della fascinazione.